Da qui inizia il mio lungo racconto lungo le strade del popolo dei Guanci. “Qui” sarebbe lo Llano de Ucanca, da dove, meglio che da qualunque altra parte del mondo, si vede El Teide, il vulcano di Tenerife. Là, dove forse un giorno c’era Atlantide.
Farò del mio meglio, ma per una volta sono sicuro che nessuna immagine potrà raccontare davvero quei luoghi, e solo standoci dentro la piana di Ucanca, solo alzando lo sguardo verso il Teide, solo camminando nel deserto lasciato dall’ultima eruzione, si potrebbe capire davvero che posto è.
E non ci sarà solo deserto e arsità lungo la strada dei Guanci. Ci saranno paesi, mare, piante, animali e genti. E ci saranno strade, tante strade, perdute nel nulla di un mondo che racchiude tutto, perfetta prosecuzione di Guatan Tavara, la strada che porta altrove, la strada che nasce alla fine del tempo e muore dove il tempo inizia. La strada che va in nessun luogo e in tutti i luoghi del mondo.
Buon viaggio a chi lo volesse fare con me.
Capitolo 1 – Verso e dentro El Teide
La TF21 si insinua nel ventre di Cañada Blanca dritta come la lama del vento nel cuore di un fuggiasco. Sembra andare verso l’infinito e vedi le automobili lontane muoversi lente come lumache e non arrivare mai, ferme lì per interi minuti come catturate dalle Roques de Garcìa
A Siete Cañada sembra di essere in un altro mondo. Sarà per le alte Tajinaste, che sembrano essere lì per pettinare i cespugli scompigliati dal vento, sarà per la nera lava lasciata dal vulcano come terra inospitale eppure piena di vita estrema, sarà per come si offre al viaggiatore la nullità infinita dello spazio, che trasmette allo sguardo, all’animo e al cuore la calma del mondo, come solo un posto sperduto nel cosmo può dare.
Proprio alle pendici del Teide, c’è un sentiero che si lascia salire, dolce e faticoso come la riscoperta di un sè nella memoria. E lo si fa salendo verso un dove sconosciuto, a piccoli passi, verso dove nessun altro occhio, oltre quello dell’anima può vederti, dove nessun respiro oltre quello del pensiero può sentirti, dove solo un battito d’ali lontano, può inseguire quello impazzito dalla fatica del cuore
Come ogni deserto, il deserto del Teide regala forme e colori che sembrano uscire da sogni incantati di calma. E’ uno spicco di sabbia, che chissà quale vergine del vulcano (poi lo sapremo) ha strappato alla lava, lasciandola ondeggiare nel tempo, attorniana da roccia nera e durissima, appena ferita da massi pungenti che sporgono qua e là, come piccoli peccati irriverenti, tra il manto candido della sabbia.
Dalla cima del Teide non si può altro che sentirsi in un qualche altrove del mondo. Sotto tutto è così piccolo e sperduto alla vista e al contatto che si ha quasi paura a tornarci, laggiù, perché non sembra appartenere alla stessa terra dalla quale si è saliti, Perfino la lunga strada tortuosa che si fa per salire e che si inoltra sinuosa come fosse una minuscola vena nelle pieghe della pelle sembra perdersi in qualche mondo sconosciuto e mai più ritornare.
E’ dritta come una lama, la TF21, per lunghi tratti sembra non accadere nulla, e poi, d’improvviso, non si sa più da dove si viene e dove si va, persi nella s-memoria delle cose e delle parole, ed è come ci si immagina sia l’eternità, annullamento del tempo senza nemmeno una curva.Allora è bello fermarsi, aspettare sul ciglio, nel silenzio che comincia da chissà quanto lontano, il susseguirsi delle auto, anime migranti che bussano alle porte dell’infinito
Ci sono sfumature, sotto al Teide, che nessun altro luogo del mondo possiede, disegni di terre anziane e rugate e lingue di rocce lisce quasi fossero pelli glabre, cespugli dorati e macchie di verde che si alternano come pedine di una partita a dama. E la strada laggiù, fedele compagna del ricordo lasciato dal lento tracimare a valle della lava
Lasciata la vetta del Teide, la discesa riporta in un mondo popolato di rocce, tortuose come i pensieri del viaggiatore. Arrivati all’altezza del Parador si resta appesi tra la l’austerità dello sperone di roccia detto la Cattedrale e la magia
di Roque Cinchado, eroso alla base dal vento dei rimorsi di chi sta andando via, rubandone con lo sguardo un pezzetto alla volta, e che sembra sorreggere El Teide e allo stesso ergersi e muoversi verso il cratere come il mulinello di un ciclone che gira al contrario.
Non si fa in tempo a lasciare El Teide come un ricordo, che il mare comincia a reclamare il suo posto nell’anima del viandante. Ma prima di lasciarsi intravvedere, il mare di Tenerife mostra il suo piccolo antico segreto. Atlantide è laggù, visibile solo dai cuori puri, per un solo momento, in un solo attimo del giorno, quando non è né giorno né notte e poi scompare, lasciando spazio alle onde bianche dell’oceano, che ha generato essa stessa col suo pianto di isola abbandonata nell’eterno e pellegrina nell’infinito